sabato 14 marzo 2009

Vescovo Carlo Puoti di Castrum Komne o Castelpoto

Il Termine Paleologo deriva da Paliliologo da Palilie feste dedicate a Pothos o Venus o Aprile .Paleologo significa dinastia di Poto, ovvero Puoti
Il nome Paleologo e' attributo di Poto ovvero Puoti.Deriva dunque da Poto , interscambiabile con Komneno dal nome Komne Castrum Komne o Poti .Poto era nipote di Pothos ovvero Re Desiderio ,ilcui figlio Adelchimuto' nome a Costantinopoli , in Flavius Potus Teodatis Patricius Romanorum et bisantii , e fu pretendente al trono in virtu' della sua discendneza diretta da Costantino, attraverso Gallia Placidia e costanzo, figlio di Costantino




58. CARLO PUOTI. – Nella nobile famiglia dei Poto di Castrum Komne (italianizzata in Puoti), duchi e signori di Castelpoto, nacque in Napoli il 12 Giugno 1763 dal marchese Gian Maria, giudice della Gran Corte della Vicaria, e da Anna de Masi patrizia leccese. La patriarcale famiglia era composta di nove fratelli e due sorelle, e dei primi, cinque si dettero a vita religiosa. Don Carlo era zio di Basilio, il famoso «purista» della lingua italiana, ed era nipote di Antonio arcivescovo di Amalfi, al quale lo affidarono i religiosi genitori affinché ne curasse la formazione. Ne venne il primo periodo di studi, e gli restò nell’anima un’impressione incancellabile: lo zio lo condusse ad Arienzo a baciare la mano a s. Alfonso. Questi gli pose le mani sul capo, e previde in lui il santo sacerdote e vescovo.

Entrò fra i Redentoristi. I Puoti ne erano benemeriti, in quanto un altro zio, mons. Giuseppe Puoti, ne aveva fatto approvare la regola. Vi completò gli studi. Fu ordinato prete, e si distinse subito in conferenze e missioni. Il 16 Marzo 1791 fu ricevuto nella compagnia di Bianchi della giustizia, e quando per i truci assassini ostinati nell’odio, c’era la pena di morte, i Redentoristi e i Bianchi dicevano: «Questo è boccone per don Carlo». Fu sempre fedele a Casa Borbone, nel cui assolutismo vedeva la fermezza paterna.

Nel 1818, con biglietto di Re Ferdinando I veniva nominato arcivescovo di Rossano in Calabria, e nel concistoro, Papa Pio VII convalidò la nomina. Per ragioni di salute chiese il trasferimento, e Re Francesco I, il 30 Maggio ’26 lo trasferì ad Alife-Telese. Nel concistoro del 15 Luglio, Papa Leone XII convalidò l’atto. Il 13 Agosto ’26 venne a Piedimonte, e prese possesso di Alife, ma ritardò il possesso a Cerreto al 22 Marzo ’27. Risiedé abitualmente a Piedimonte, capoluogo del distretto, e in ogni Pasqua si recava a Cerreto.

Affabile nei modi e di sentità umanità, dava udienza a chiunque in tutte le ore. La sua liberalità era tanta che sembrava prodigalità. Disse a un debitore che gli restituiva una somma: «Benedetto Dio che provvede a tempo. Domani non avea che dare ai poveri». E molto dette nell’alluvione del 1841. Schivo di ogni mostra, non permise si facesse il suo ritratto.

Contribuì signorilmente nel rifare il campanile della cattedrale di Cerreto, diroccato nel terremoto del 1805; contribuì al restauro delle vie che portano a Guardia Sanframondi, all’antica cattedrale di Telese, e per quella dietro il giardino dell’episcopio. Donò arredi alle due cattedrali, e per quella di Alife affrontò forti spese nei restauri. A Piedimonte, in S. Maria Maggiore ordinò il pavimento del presbitèrio (c’è lo stemma), e le due artistiche balaustre a intaglio presso gli altari del Sacramento e di s. Marcellino.

Vacato il beneficio di S. Caterina in Alife, lo divise (su proposta del Comune) in sei posti, e aggiunse i sei cappellani nominandi ai mansionari, e nel ’40 anche all’Annunziata; a incrementare la pietà in S. Maria fondò l’associazione del Cuore di Gesù, l’8 Dicembre 1836 istituì l’Opera della Propagazione della Fede, e il 14 Giugno ’40 benedisse il cimitero di Piedimonte. Nel ’33 riunì il clero di Sant’Angelo in recettizia, e concesse la mozzetta all’arciprete di San Gregorio.

Devoto e pio, osservò fino alla morte i digiuni quaresimali, e nel cholera morbus del 1837, il 26 Giugno, fece uscire le processioni di penitenza dei santi patroni di tutte le quarantatré parrocchie delle due diocesi. Egli, a Piedimonte, seguì s. Marcellino e s. Rocco a Porta Vallata e, di fronte all’apprensione del popolo, offrì a Dio la sua vita purché fosse scampato quello.

Assai stimato a Napoli dove aveva accesso alla reggia, e da dove venne due volte il Card. Ruffo a Piedimonte a visitarlo, lo fu anche a Roma. A Papa Gregorio XVI non sfuggì la santa vita di lui. Appena eletto, nella lettera del 16 Aprile 1831 si raccomandava alle sue preghiere: «…Fraternitati tuae, a cuius pietate fructum deprecationis uberem, et utilem a studio pastorali operam speramus». E lo stesso papa, nel Maggio ’39, in occasione della canonizzazione di s. Giovan Giuseppe della Croce, lo invitò alla cerimonia a Roma.

Morì di colpo apoplettico, la sera del 14 Marzo 1848.

Pubblicazioni: lettere pastorali in latino, fra cui: Ep. Past. ad archiepiscopalem ecclesiam rossanensem (Romae MDCCCXVIII), altra Epistola per l’ingresso nelle diocesi di Alife-Telese, orig. presso la raccolta del dottor R. Di Lello in Piedimonte.

Bibliografia: AC 54 f. 523; P. Dat. 189, 1826 f. 1-11, da cui Ritzler-Sefrin VII, 68, che porta il trasferimento ad Alife, al 3 Giugno; Gams: Suppl. II 9; manoscritto di S. Maria Maggiore 618; Rossi: Catalogo 211; Iannacchino: Thelesia 286; Vaiani G.: Elogio funebre di mons. Carlo Puoti nei suoi funerali, il 16 Marzo 1847 (Napoli

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