Dario Del Corno
la donazione di Costantino
cosi' Lorenzo Valla smaschero' i papi la confutazione del celebre umanista contro il potere temporale della Chiesa rivisitata da Gabriele Pepe in " la falsa donazione di Costantino, editore Ponte alle Grazie
Fra le nefandezze della lotta per il potere, odiose anche quando sono incruente, la falsificazione dei documenti rappresenta per cosi' dire una costante storica: ne' mette conto di menzionare recentissimi, indecorosi esempi. Testi contraffatti valgono a screditare avversari, a simulare benemerenze posticce, a inventare situazioni d' emergenza che richiedano interventi altrettanto fuori dalla norma, e soprattutto ad imporre inesistenti diritti. Sono espedienti di una violenza non meno perniciosa per il fatto di infierire con le parole e non con gli atti. A smascherare l' inganno occorre un onesto e sovente intrepido amore del vero; ma talvolta questo non basta, e si rende necessario il concorso della scienza cui appartiene la verifica dell' attendibilita' testuale: la filologia. Anche il piu' abile dei falsari opera su materiali fittizi: ed e' fatale che tra questi si insinui la crepa, la sfasatura dove inserire il cuneo del dubbio che smontera' la macchinazione. Qui intervengono i collaudati strumenti dell' indagine filologica a dimostrare le improprieta' del linguaggio, l' inverosimiglianza dei raffronti, le incongruenze dei dati. Modello illustre di tale confutazione e' la Declamatio di Lorenzo Valla intitolata nell' originale De falso credita et ementita Constantini donatione, con la quale il grande umanista si impegno' a distruggere definitivamente l' autenticita' del documento su cui il papato fondava la pretesa di legittimare il proprio potere temporale. Un caso, si vorrebbe dire, da manuale: nel senso letterale dell' espressione, in quanto l' opera del Valla appare menzionata sistematicamente nei prontuari storiografici e storico.culturali, peraltro senza che da molti decenni si sentisse l' esigenza di ripresentarla nella sua integrita' . Tanto piu' opportuna risulta dunque l' iniziativa di pubblicarla nella traduzione di Gabriele Pepe (ma perche' non accompagnare il testo latino a fronte?), preceduta da un' acuta ed appassionata introduzione dello stesso autore. (La falsa donazione di Costantino, editore Ponte alle Grazie, pagine 104, lire 15.000). Il documento contestato simulava un atto di donazione da parte di Costantino al papa Slvestro, con cui l' imperatore avrebbe ceduto alla Chiesa ogni diritto temporale su Roma, sull' Italia e su tutte le province occidentali dell' impero. Grazie a un tale precedente, lungo molti secoli si venne costruendo l' ideologia che trasferiva il primato religioso del vescovo di Roma all' ambito politico, rivendicando al pontefice il diritto di conferire la propria investitura all' imperatore d' Occidente. "La storia della donazione di Costantino . scrive Pepe ., e' storia dei rapporti di forza tra papato e impero". Ma l' atto era un falso. Coniato probabilmente nell' ottavo secolo come premessa o conseguenza all' incoronazione di Carlo Magno, esso svolse la funzione di istituire un mito, su cui la Chiesa fondo' spregiudicatamente un sistema di potere e di privilegi. In fiera polemica contro la struttura medievale di un cristianesimo che aveva dimenticato la sostanza etica del suo insegnamento, il Valla ne smaschera il triviale utilitarismo senza ricorrere a sua volta agli schemi di un' opposta ideologia, ma con il sostegno irrefutabile della coerenza filologica. La situazione storica che la Donazione pretende di ricostruire e' inattendibile; ma soprattutto, la lingua del documento presenta i caratteri specifici del latino medievale, e i riecheggiamenti biblici di cui trabocca sono incompatibili con gli usi della cancelleria imperiale, che prima della costantiniana legittimazione del cristianesimo non poteva che ignorare gli scritti testamentari. La lettura dell' opuscolo e' di un' emozione folgorante. Si ha il sentimento che si apra davvero un' era nuova; in cui parametro del vero tornera' ad essere la ragione umana, come era stato nell' antichita' classica. Lo stile non e' un inutile orpello, bensi' la verita' della parola e della realta' che in essa si esprime. E' la forza del sapere a infrangere i vincoli della superstizione, su cui si appoggia "la scelerata tirannide de' preti", secondo la formula del Guicciardini. La confutazione dei falsi diritti del potere portava in se' la minaccia di una ribellione; ma l' arroganza di chi lo deteneva ignoro' la sfida, e di li' a poco venne la Riforma.
Pubblicato da Francesco Scanagatta a 21.58
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento