I Comneno discendevano da Flavius Potus Gaius Patricius Teodatis ,di Castrum Poti o Komne -Costantinopoli- figlio di re Adelchi che a Costantinopoli muto' nome.
Castrum Poti o castello Puoti BN di Poto figlio di Re Adelchi e di Poto o Potone nipote di Radelchi
Comneno di Castrum Poti(Komne) (Impero di Trebisonda Georgia avita Fassi )
Alessio I Comneno discendente di Flavio Isacco di Castrum Poti o Castrum Komne(Tracia) da cui Comneno o Castamonio, ovvero Castrum Eracles Monoikos (Poto figlio di Adelchi, nipote di Re Desiderio, discendeva da Gallia Placidia , figlia dell'imperatore Potior Valentiniano(Gens Potitia )e da Costanzo figlio di Costantino(Gens Potitia custode dei misteri di Eracles Monoikos).
Imperatori
Alessio I Comneno
Il 4 aprile del 1081, giorno di Pasqua, Alessio Comneno veniva solennemente incoronato basileus a Costantinopoli. Non sappiamo quanti avrebbero scommesso sulla permanenza al trono di questo giovane generale -forse solo chi lo conosceva bene-, né forse sulla sopravvivenza fisica stessa dell'Impero. Ma gli eventi avrebbero dimostrato che quell'uomo sarebbe stato in grado di guidare la nave romea in acque che per molti altri sarebbero state fatali.
LA FAMIGLIA E LA GIOVINEZZA
Alessio non era un uomo nuovo. La sua famiglia era originaria del villaggio di Komne, in Tracia, o nei dintorni di Kastamonu, in Asia Minore, e dall'epoca di Basilio II questi agiati proprietari terrieri ricoprivano cariche militari di sempre maggiore importanza, legandosi a importanti famiglie aristocratiche, fino a raggiungere il trono imperale con Isacco, nel 1057, sia pur brevemente. Il di lui fratello, Giovanni, assunse la carica di domestikos delle scholai ed un suo figlio, Manuele, sotto Romano IV Diogene fu kuropalates e protostrator. Alessio stesso, probabilmente nato intorno al 1054, figlio del domestikos Giovanni e della nobile Anna Dalassena, combatté sotto Romano e proseguì la scalata ai vertici militari al servizio di Michele VII Ducas, facendosi notare per le capacità militari ed organizzative.
Il suo momento giunse nel 1078, in occasione delle rivolte che portarono alla caduta di Michele VII. Postosi al servizio dello stratega del tema anatolico, Niceforo Botaniate, Alessio eliminò sul campo gli altri pretendenti al trono, il doux di Durazzo Niceforo Briennio e Niceforo Basilacio, ed agevolò l'abdicazione di Michele e l'intronizzazione del Botaniate. Durante il tormentato regno dell'anziano Niceforo III Alessio preparò la sua scalata, con quell'astuzia e quella pazienza che erano tra le sue principali qualità. Proclamatosi basileus a Nicea alla fine del 1080 Niceforo Melisseno, che tra l'altro dell'ambizioso generale era cognato, avendone sposato la sorella Eudocia, Alessio non prese accortamente posizione, e nel contempo in una riunione a Tzurullon stipulò un accordo di potere con la potente famiglia Ducas, siglato tramite le sue nozze con Irene, nipote del cesare Giovanni Ducas e di Costantino X, con l'adozione da parte di Maria d'Alania, moglie di Michele VII e poi di Niceforo III, e con l'assicurazione della salvaguardia della posizione d'erede imperiale del di lei figlio Costantino Ducas. Tale alleanza, insieme all'uscita di scena del Melisseno, abilmente convinto a mettersi da parte in cambio del titolo di cesare, aprì ad Alessio la via per il trono.
Nella primavera del 1081 gli uomini di Alessio s'attestarono di fronte alla capitale e, grazie all’avidità del capo dei mercenari tedeschi di guardia ad una delle porte, Costantinopoli potè essere occupate dalle truppe del Comneno, le quali, per lo più composte di mercenari difficilmente governabili, si diedero ad un feroce saccheggio, durato ben tre giorni. Lo stesso Alessio, racconterà la figlia Anna, volle espiare tale misfatto con digiuni e penitenze. L'obiettivo era comunque raggiunto: Niceforo III Botaniate fu costretto ad abdicare e a ritirarsi nel monastero della Peribleptos, ed Alessio I venne incoronato. Da solo... Ed infatti l'influente patriarca Cosma I Gerosolimitano obbligò pochi giorni dopo l'imperatore ad incoronare anche la moglie Irene, tanto più che doveva molto ai Ducas e che troppo alta pareva l'influenza su di lui di Maria d'Alania, cui sarebbe stata in seguito affidata, del resto, l'educazione di Anna Comnena.
LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA. I NORMANNI
Lo scenario che si parava di fronte ad Alessio era quanto mai tetro. L'Impero era esausto, e la situazione era aggravata dal crollo militare, economico ed amministrativo. Il sistema tematico non funzionava più, e Alessio si vedeva circondato da ogni parte da potenze in attesa di buttarsi sulle terre romee per contendersele, Turchi, Peceneghi, Normanni. L'Asia minore era ormai persa, Suleiman aveva creato il sultanato di Rum ed altri emiri turchi occupavano isole e città costiere, ed ad occidente i Normanni, che solo dieci anni prima avevano definitivamente eliminato ogni presenza romea in Italia, guardavano a Costantinopoli, irritati tra l’altro dalla forzata monacazione di Olimpia, figlia del Guiscardo, promessa a quel Costantino Ducas che del destituito Michele VII era figlio ed erede.
Non appena giunto al trono Alessio si trovò scomunicato da Gregorio VII e sotto la minaccia del normanno Roberto il Guiscardo, che, sventolando un falso Michele VII Ducas quale pretendente ed i diritti sovrani della figlia e spalleggiato dalla scomunica papale , non perse tempo nell’attaccare le romee Corfù e Durazzo. Alessio corse subito ai ripari, intavolò trattative ad oriente con i Selgiuchidi, legittimandone il dominio, prese contatti con il re dei Romani Enrico IV, acerrimo nemico del Guiscardo, e s'assicurò l'alleanza con quella potenza navale, a Costantinopoli legata storicamente, che gli poteva assicurare la lotta ai Normanni sul mare, Venezia. Quest'ultima svolse bene il suo compito, davanti a Durazzo la flotta normanna venne distrutta, ma sulla terraferma le ancora deboli ed eterogenee forze bizantine vennero annientate e, dopo un lungo assedio, nel febbraio 1082 Durazzo cadde. Le armate normanne avanzarono velocemente in Epiro, in Macedonia ed in Tessaglia, fino a quando l'abilità diplomatica del Comneno raggiunse il suo scopo ed il Guiscardo dovette tornare in Italia, ove il suo regno era scosso da rivolte e minacciato dall'avanzata di Enrico IV, lasciando il comando delle truppe al figlio Boemondo. Costui si trovò a dover fronteggiare la riscossa romea e di conseguenza a ripiegare, mentre la flotta veneziana, nonostante perdite tali da costringere all'abdicazione il doge, riprendeva Durazzo. Il ritorno sulla scena del Guiscardo, carico di vittorie e stragi accumulate in Italia, parve ridar fiato all'offensiva normanna, ma la sua morte nel luglio del 1095 determinò la fine dell'attacco.
L'impero s'era salvato dalla minaccia più micidiale degli ultimi tempi, ma il necessario aiuto veneziano ad Alessio, del tutto inerme sul mare, era costato caro, anche se gli effetti della crisobolla in favore di Venezia da lui emanata probabilmente nel maggio del 1082 si sarebbero fatti sentire nella loro interezza solo ben più tardi. Alessio comunque concedeva al doge ed ai suoi successori il titolo e gli onori di protosebasto; a Venezia in Costantinopoli case, magazzini, botteghe a Pera e tre moli; libero commercio ed esenzione totale da dazî nella Città ed in località, soprattutto portuali, scelte con oculatezza nei territori imperiali in base agli interessi commerciali della Repubblica, particolarmente nell’Egeo e nei Balcani. Il solo Mar Nero era escluso dalle trattative. Si è soliti sostenere che Alessio, sia pure spinto da eventi di gravità tale da non poter offrire alternative, con quella crisobolla svendette all’estero gli interessi e, in prospettiva, il futuro stesso dell’Impero. In realtà, senza giungere alle conclusioni del Treadgold, il quale sostiene che l’influenza delle Repubbliche nell’economia di Bisanzio era piuttosto limitata(1), c’è da credere al Lilie quando questi sostiene che la apparentemente inesauribile prosperità del secolo comneno originò anche e soprattutto grazie all’incentivazione al commercio ed agli alleggerimenti fiscali concessi agli Italiani che permisero una vertiginosa crescita delle esportazioni dai territori imperiali, con conseguente aumento di produzione dei beni di lusso e, particolarmente, dei prodotti agricoli dai mercati richiesti(2). Senz’altro tale incremento produttivo fu di gran giovamento a quelle regioni, situate in particolar modo nei Balcani, che gravitavano sulle rotte commerciali, oltre ovviamente alla stessa Costantinopoli, ed in prospettiva anche alle casse imperiali, tanto da ovviare ampiamente ai mancati introiti derivanti dagli abbattimenti o dalle riduzioni dei dazî.
Liberatosi dell'incubo normanno, il basileus dovette far fronte a ben altra minaccia, che questa volta era rappresentata dall'orda di stirpe turca dei Peceneghi. Costoro devastavano da anni le frontiere imperiali, ma ora, spinti anche da influenze bogomile, s'erano spinti entro i territori romei ed erano alle porte di Costantinopoli. Il fattore di maggiore gravità era dato dalla loro alleanza con l'emiro di Smirne Chaka, la cui flotta giunse ad assediare la capitale. L'esercito romeo si mosse contro i barbari ed Alessio ebbe buon gioco nello spingere contro di loro un'altro popolo di lingua turca, quello dei Cumani. Il 29 aprile del 1091, alle pendici del monte Levunion, sulla Maritza, Le forze congiunte dei Romei e dei Cumani annientarono letteralmente i Peceneghi. Nel contempo l'emiro di Smirne veniva attaccato dall'emiro di Nicea, su istigazione dello stesso Alessio, determinando la sconfitta della residua flotta turca di stanza a Costantinopoli.
I recenti successi avevano galvanizzato il morale romeo, ed Alessio spinse le sue truppe in Rascia, con lo scopo di sottomettere i Serbi ribelli di quella regione. Si dovette accontentare della sola dichiarazione di fedeltà del re Vukan, poiché all'improvviso fu necessario fronteggiare una pericolosa incursione dei già alleati Cumani, guidati da un pretendente al trono romeo. Eliminato il pretendente, i Cumani vennero facilmente sconfitti.
I CROCIATI
A questo punto il rafforzamento delle posizioni imperiali pareva indiscutibile, ed Alessio ben poteva guardare alla riscossa in Asia minore, tanto più che il sultanato selgiuchide era scosso al suo interno. In tale ottica aprì trattative con il nuovo vescovo di Roma, Urbano II, ed inviò legati al concilio di Piacenza per riaprire i colloquî con la Chiesa e chiedere un aiuto fattivo nella sua lotta contro gli Infedeli. La risposta fu del tutto inattesa, tanto più che il basileus aveva limitato la sua richiesta a delle truppe mercenarie, e giunse dopo gli appelli papali del 18 di novembre del 1095 a Clermont, nella forma della torma indisciplinata di Pietro l'Eremita e dei suoi seguaci, contadini, donne, bambini, "un movimento di tutti i barbari compresi tra Adriatico e le colonne d'Ercole", testimonia Anna Comnena. Dal momento che secondo le intenzioni degli organizzatori l’incontro delle truppe crociate avrebbe dovuto avvenire a Costantinopoli, Alessio s'affrettò a trasportarli in Asia Minore, una volta che questa folla fu giunta in territorio imperiale, ed i Turchi ebbero facile gioco nello sterminarli.
Il problema fu quando a Costantinopoli giunsero i grandi capi feudali franchi con i loro seguaci, a partire dalla fine del 1096. L'impero li accolse con timore e diffidenza, conscio delle intenzioni di molti di loro, "un popolo che alla prima occasione infrangeva disinvoltamente i trattati", sottolinea Anna. L’abile ed accorto basileus, consapevole di dover garantire i diritti e la protezione dell’Impero e, nel contempo, di non potersi in alcun modo scontrarsi con i Crociati e l’Occidente, pretese che i capi crociati gli facessero giuramento di fedeltà e si dichiarassero suoi vassalli, offrendo in cambio vettovagliamento, armi, le guide necessarie in un territorio che alcun Franco conosceva ed una successiva partecipazione bizantina alla spedizione, ma pretendendo la cessione delle città e dei territori già appartenuti all'Impero. Giurarono tutti ad eccezione di Raimondo di Tolosa e del nipote del normanno Boemondo, Tancredi, perché al momento non presente.
La spedizione ebbe un buon inizio, le armate crociate, accompagnate da un contingente romeo, s’impadronirono di Nicea, permettendo ad Alessio di riportare all'Impero Smirne, Efeso, l'intera Lidia, quindi la marcia proseguì in Anatolia verso la Cilicia e quindi Antiochia. In breve, tuttavia, i dissidi tra i Romei ed i Franchi si palesarono, già dal momento in cui Nicea s’era arresa ad Alessio e non ai Crociati, che dunque s’erano visti sfuggire il frutto d’un ricco e sicuro saccheggio, per giungere al momento in cui Baldovino, fratello di Goffredo di Buglione, ed il normanno Tancredi si separarono dalle armate crociate e s'insediarono in Edessa e nella già romea Cilicia. Ma la crisi definitiva si ebbe al momento della caduta di Antiochia, dopo lungo e drammatico assedio, il 3 giugno del 1098, quando Boemondo, proclamatosi principe della città, si rifiutò di cederla ad Alessio, in spregio agli accordi, che del resto egli riteneva non più validi, dal momento che il basileus non era mai giunto a dar man forte ai Crociati. In effetti Alessio ben difficilmente avrebbe affrontato personalmente un così lungo periodo di tempo lontano dalla sua capitale, sia per motivi politici che per l’impossibilità di poter mantenere il controllo su un così ampio scacchiere, stante la ancora relativa debolezza delle forze imperiali, tuttavia all’Imperatore erano giunte da fonti sicure, quali Stefano di Blois, notizie secondo cui ad Antiochia tutto per i Crociati era perduto. Quale ulteriore dimostrazione di distacco, le armate superstiti franche proseguirono verso la Città santa senza attendere l'arrivo degli alleati romei.
Il basileus ritenne inaccettabile l'affronto e, con l'insperato aiuto di Raimondo di Tolosa, defraudato prima d'Antiochia e poi di Gerusalemme, s’impose di rendere il più difficile possibile l'esistenza a Boemondo, impadronendosi delle città costiere siriane fino a Tripoli, tra le quali l'attuale Lattakia, nel 1104, e di importanti fortezze cilice quali Tarso ed Adana. Antiochia rimase una spina nel fianco d’Alessio finché fu in vita, e l’Imperatore finché poté non lasciò nulla d’intentato, tuttavia si rendeva perfettamente conto che non era assolutamente possibile recidere ogni legame con i Crociati, perché ciò avrebbe significato rendere ancor più tesi i già difficili rapporti con un Occidente con il quale oramai era necessario fare i conti(3). Resosi conto di non poter combattere sia Bisanzio che i Turchi, Boemondo lasciò Antiochia al figlio Tancredi e partì per l'occidente in cerca d'aiuto, contribuendo a scatenare un'ondata di odio verso Costantinopoli che avrebbe generato frutti avvelenati per lungo tempo. L'obiettivo primario era l'attacco diretto all'Impero, e Boemondo sbarcò in forze a Valona nel 1107, seguendo le orme del padre Roberto. Ma la condizione era molto diversa, ed Alessio costrinse alla resa presso Durazzo le forze Normanne: Boemondo fu costretto a giurar fedeltà al basileus, del quale divenne “vassallo ligio”, ed in un trattato stipulato a Deabolis, o Devol, in Albania, il cui testo è riportato da Anna Comnena, il normanno si impegnò a cedere Antiochia, che gli sarebbe stata lasciata quale feudo fino alla morte, quando sarebbe tornata all’Impero. Agli eredi erano serbati il resto del principato. Ovviamente al momento il vero padrone della città era Tancredi, che si riteneva svincolato dal giuramento paterno, perciò la vittoria bizantina parve risolversi in un reale insuccesso, tuttavia l’orgoglio normanno era calpestato ed Alessio nella sua magnanimità si riscattava di fronte all’Occidente, dimostrando di non essere affatto ostile agli stati crociati.
GLI ULTIMI ANNI
Ormai carico di gloria, allontanata la tempesta latina, ad Alessio gli ultimi problemi vennero da Ungheresi, Pisani e Turchi. I primi vennero vinti, ed Alessio siglò la pace sposando il figlio ed erede Giovanni con Piroska, ribattezzata Irene, figlia di re Coloman. Con i secondi concluse nel 1111 un trattato nel quale concedeva alla repubblica marinara benefici a Costantinopoli simili nella forma a quelli a suo tempo concessi a Venezia, seppur inferiori e con dazi doganali ridotti dal 10 al 4 per cento. I terzi attaccarono le frontiere imperiali nello stesso anno, rimediando prima una sconfitta a Nicea e poi a Filomelion, nel 1116, disfatte che li convinsero a deporre le armi.
Ormai anziano ed afflitto dalla malattia che l'avrebbe portato alla morte, dedicò gli ultimi tempi allo sradicamento delle eresie che a suo parere minavano l'Impero. Già aveva combattuto una dura lotta contro i manichei; nei suoi ultimi giorni si dedicò alla lotta contro l'eresia bogomila, erede di quei pauliciani che già dal X secolo erano presenti in oriente. La lotta avvenne tramite conversioni più o meno sincere e non senza l'uso delle armi, ed il loro capo, Basilio, nel 1118 finì sul rogo, nell'Ippodromo della Capitale.
LA SUCCESSIONE
Dopo una vita spesa a lottare contro i nemici che l'assediavano da ogni parte, ad Alessio toccò ancora lottare nelle ultime ore di vita per assicurare al figlio la successione imperiale. In effetti il suo primo erede era stato Costantino Ducas, figlio di Michele VII e di Maria d'Alania, e l'unione tra il principe e la porfirogenita Maria Comnena aveva sancito tale scelta. Ma la nascita di un figlio maschio, Giovanni, aveva mutato tale situazione, risolta del resto dalla scomparsa prematura di Costantino, e la sua incoronazione nel 1092 a coimperatore aveva tolto ogni dubbio. Né Anna, che aveva sposato Niceforo Briennio, poi nominato cesare, né tanto meno la madre Irene accettarono mai questa scelta, e fino alla fine si schierarono a favore del cesare, fino al punto di tormentare Alessio sul letto di morte. E l'ostinazione dell'anziano basileus a favore del porfirogenito Giovanni fu forse uno dei doni più preziosi che lasciò al suo Impero. Alessio I morì il 15 agosto del 1118, e venne sepolto nel monastero del Cristo Filantropos, fondato dalla moglie.
LO STATO
Il crollo organizzativo e burocratico dello stato che Alessio dovette affrontare rese necessaria una profonda riforma del sistema, che spesso divenne una vera ricostruzione. Per giungere al potere ma, soprattutto, per restarvi saldo e, possibilmente, per lasciarlo agli eredi, dovette fare il possibile per unire tra di loro e a sè le fazioni aristocratiche in lotta tra loro, e vi riuscì, oltre che in virtù della propria impressionante abilità politica e diplomatica, grazie ad una accorta e sagace politica matrimoniale che unì ai Comneni le principali famiglie aristocratiche romee. Alessio non distrusse né bloccò la realtà sociale romea, semplicemente la mutò: invece di porsi in contrapposizione o al di sopra delle fazioni o delle famiglie magnatizie, il basileus entrò a farne parte e ne divenne il capo, in modo che ogni grande famiglia era parte e partecipe del genos imperiale(4). La necessità di provvedere a soddisfare l'allargamento delle sfere del potere alle grandi famiglie aristocratiche provinciali e civili legate alla casa imperiale provocò l'inflazione dei titoli e la creazione di nuovi. Nacquero moltissimi titoli derivati dalla combinazione di titoli più antichi ma svalutati, innovazione che Anna Comnena loda alquanto: sopravvissero il cesare ed il kuropalates, ma superati dal più importante sebastokrator, concesso ad Isacco, fratello prediletto di Alessio, derivante dallo svalutato sebastos, che del resto originò anche altri titoli quali protosebastos, pansebastos hypersebastos, concesso, ad esempio, al cognato Michele Taronita. Ridotti d'importanza e di dimensione i temi, sparì lo stratego e si svalutò il titolo di doux.
L'esercito -che, detto per inciso, Alessio amava guidare personalmente- ora è comandato dal megas domestikos, affiancato da altri comandanti militari; la flotta, cui l'imperatore, con la lungimiranza che lo contraddistingueva, aveva dato grande importanza, cercando di riportarla agli antichi fasti, era comandata dal megas doux, successore del drungario della flotta.
A riguardo, la necessità di dover fronte al massiccio impiego di truppe mercenarie richiese l'aumento della tassazione, con i conseguenti disagi, gli arbitrî degli esattori, la svalutazione della moneta (che da allora verrà chiamata iperpero). A quel punto, allo scopo di ricostituire forze locali, visto che l'antico sistema delle piccole proprietà dei soldati era pressoché scomparso, la proprietà fondiaria della pronoia divenne la base dell'organizzazione militare. Il sistema è noto, e si basava sul concetto che ogni pronoiario doveva provvedere al proprio equipaggiamento militare ed impegnarsi a fornire truppe. Così come furono costretti a farlo anche le proprietà ecclesiastiche. La pronoia inizialmente non era ereditaria e non poteva essere alienata, tanto più che dipendeva dal favore imperiale, in un sistema che anticipava di molto la Versailles del Re Sole e dove un’aristocrazia centralizzata non doveva mai restare troppo lontano dalla corte.
E non solo di questo Alessio volle o dovette occuparsi. Venne ristrutturata l'antica università della Capitale e, approfittando della caduta in disgrazia del suo responsabile, Giovanni Italo, condannato per empietà, l'istruzione venne affidata alla Chiesa. E proprio alla Chiesa il basileus prestò molta attenzione, appoggiando l'ascetismo monastico e dando grande valore alle istituzioni dell'Athos. Dopo un lungo periodo di confronto anche duro tra i poteri, Alessio riuscì a stabilire un controllo tanto forte sulla Chiesa da indurre il potente Patriarca Cosma alle dimissioni e a giungere a modifiche durature. Volle e seppe gestire e guidare sinodi, nomine e riforme interne alla Chiesa, trattando direttamente con Roma e con le comunità armene. Tanto derivava, oltre che da esigenze politiche, dalle sue tendenze religiose, che si estrinsecarono nella creazione di opere monastiche e nella realizzazione di opere pie, quali l’Orfanotrofio di Costantinopoli, che ristrutturò in grande stile, come del resto suo fratello Adriano eresse il monastero della Vergine Pammakaristos e sua madre Anna Dalassena quello del Cristo Pantepoptes, sempre nella Città.
Uomo ambizioso, abile, astuto, lungimirante, profondo conoscitore dell’animo umano, compì per lo più per necessità errori fatali, che ebbero ripercussioni successive forse inattese; tuttavia lasciò ai successori uno Stato forte, sicuro, rispettato, e grazie alla sua opera, alla sua pazienza, alla sua brillante intelligenza ed alle sue lotte estenuanti, l'Impero potè vivere una stagione di gloria -l'ultima- quale da tempo non godeva.
(1)Treadgold W., Storia di Bisanzio, Il Mulino, 2005 Bologna, pag. 244
(2)Lilie R.-J., Bisanzio. La seconda Roma, Newton&Compton editori, 2005 Roma, pag. 308
(3)A riguardo, Runciman S., Storia delle Crociate, RCS Libri, 2002 Milano, I, pag. 235, e Magdalino P, The Empire of Manuel I Komnenos, Cambridge University Press 1993, pp. 27 sgg.
(4)Magdalino, cit., pp. 180 sgg.
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